Il Prof. Walter Albisetti fondatore di Waves onlus è stato uomo di grande spessore professionale : professore associato in Ortopedia e Traumatologia all’Università degli Studi di Milano, nonchè supervisore del Servizio medico del Teatro alla Scala.
Vogliamo qui ricordarlo per la sua instancabile capacità nel mettersi a disposizione del prossimo con entusiasmo, vitalità, concretezza e rispetto umano.
La lettera che riportiamo qui sotto ne è un piccolo, ma reale esempio che vogliamo condividere con chi lo ha conosciuto, con chi ci sostiene o chi semplicemente è “alla ricerca”.
Il Prof. Walter Albisetti la scrisse al ritorno dalla sua prima esperienza di volontariato per il Cesvi in Albania proprio nel 1999 e fu pubblicata dallo stesso presidente Gianni Milesi sul n. 53 di Cooperando.
“…L’altro giorno ero in Università per la lezione del mio corso di laurea, ieri ero in teatro a curare i ballerini della Scala di Milano, oggi sono qui e, di fronte a me, c’è una potenziale bomba biologica.
Che fare? Ti rimbocchi le maniche, cammini in mezzo ai residui organici e, mentre stai ancora valutando, decidi e organizzi; giuste o sbagliate che siano le decisioni che prendi. Individui e delimiti le zone da destinare ai WC, ai rubinetti, ai servizi. Cerchi di meglio distribuire le persone negli spazi, cerchi coperte e materassi, insomma, ti dai da fare: una situazione dove le patologie sono la normalità e dove la (tua) normalità è patologica.
I centri da seguire sono molti e dislocati in paesi distanti tra loro in un Paese dove, per percorrere anche poche decine di chilometri, ci si impiega un’eternità.
Girocastro, Teplene, Mamalia, Fier, Delvine, Saranda: il nostro compito è seguire i profughi che, dopo una breve permanenza a Kukes, sono stati deportati lì. I centri raccolgono da 50 a 1000 persone, ogni centro è una realtà a sé stante, con problemi ed esigenze diverse, in tutti però c’è un denominatore comune: le condizioni igieniche sono al di sotto di qualsiasi soglia. Sono l’unico medico e quindi definisco, imposto, faccio.
Nei giorni e nelle settimane successive, quando torno a controllare lo stato dei lavori e ad organizzare l’assistenza sanitaria, trovo che alcuni profughi non ci sono più (alcuni “scafati” in mezzo al nostro mare o sulle nostre coste, altri, invece, chissà?) alcuni lavori sono stati ultimati, altri nemmeno iniziati.
Ma i bambini adesso sono puliti, la guerra ai pidocchi è a buon punto, la diarrea diffusa è sotto controllo e l’ambulatorio medico del centro funziona, anzi, è diventato un punto di riferimento. Gli anziani si fanno avvicinare, le donne arrivano, si siedono, parlano e si lasciano curare; si riesce ad organizzare il mantenimento dell’igiene personale e collettiva. La scelta di coinvolgere il medico e l’infermiere, albanese o kosovaro, si è dimostrata giusta.
Abbiamo organizzato dei piccoli magazzini, dei responsabili della distribuzione e ogni giorno che passa la confusione diminuisce. Si tenta di ricreare dei ruoli.
Il tempo è volato, è passato quasi un mese, e devo ripartire. Rientro in Italia, riprendo il mio lavoro di ricercatore universitario ma la settimana seguente sono di nuovo lì, in Albania, nei campi profughi. Ciao Direttore, a presto”.
Walter Albisetti